Martedì 20 gennaio le classi terze insieme alla 2^C si sono riunite in aula Magna della scuola Fava per parlare di Medici Senza Frontiere.
Una volta arrivato Giovanni (volontario di Medici senza frontiere) ha chiamato tre alunni come suoi “assistenti” mentre lui ha sistemato la bandiera e una cartina.
Sistemato tutto Giovanni si è presentato e ha spiegato il ruolo (importantissimo) di Medici senza frontiere anche attraverso un video.
Il volontario non fa guerra, al contrario, fa la pace. Il volontario cura le persone bisognose dopo incidenti naturali come alluvioni, terremoti ecc ma anche persone che fuggono dal proprio paese perché in guerra. A tal proposito Giovanni ha mostrato una foto raffigurante una ragazza di 13 anni che fuggiva insieme alla sua famiglia dal suo paese; portava in spalle un fucile.
Una ragazza della mia età costretta a crescere in fretta, senza ricevere un libro su cui studiare ma un fucile. Situazioni del genere frequenti per lo più in Iraq, Siria, Somalia, Afghanistan, Sudan, Kurdistan e altri 70 paesi del mondo. Medici senza frontiere intervengono procurando un posto al sicuro, una tenda, acqua potabile e l’insegnamento per l’agricoltura. Relativamente a questo ha mostrato delle foto scattate poco tempo fa in Africa.
Per diventare volontario si abbandona anche il lavoro, mettendoci cuore e anima. È importante però avere anche una laurea, in ingegneria, in medicina, l’istruzione prima di tutto. Poi sullo schermo è passata l’immagine che colpisce purtroppo in questi tempi l’Africa.
Un volontario con una tuta gialla e una valigia teneva in braccio un bambino infetto d’Ebola. Essa è una malattia che ha infettato il Congo ed è stata scoperta nel 1976. Prese il nome dal fiume scorreva vicino al paese infetto. Si trasmette per contatto e arriva dai pipistrelli della frutta. Questi mangiano i frutti, quegli stessi frutti li mangia un altro animale che a sua volta è cacciato dall’uomo.
Non esistono vaccini contro l’Ebola e i processi di guarigione sono lunghi anche se le tute da indossare sono pesanti e non puoi curare il paziente più di quattro ore.
Giovanni ha deciso però di tenere il “meglio” per la fine, quando ci ha mostrato una foto di una volontaria con in braccio un bambino; essa esprimeva tutta la sua sofferenza. Ci si affeziona molto ai bambini e vederli morire è come vedere morire il proprio figlio, e come dice Carducci in “Pianto Antico”: <<il mio amore non ti riporterà indietro>>.
Elisa Perlini